ATTUALITA’ DI VOLTAIRE: note sul suo pensiero e L’analisi di due racconti “contes” di ENRICO MARCO CIPOLLINI

ATTUALITA’ DI VOLTAIRE:

note sul suo pensiero e L’analisi di due racconti “contes”

[con bibliografia essenziale]

di Enrico Marco Cipollini

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La figura più caratteristica del XVIII secolo francese è forse Francois Marie Arouet  anagrammato a suo modo Voltaire, il quale appartiene tanto alla filosofia che alla letteratura. Nasce a Parigi nel 1694 da famiglia borghese. Nel pensiero voltairiano, il problema etico equivale a problema politico. Infatti Voltaire è uno dei più grandi promotori della modernizzazione e della laicizzazione del pensiero non solo francese ma europeo. Spesso la sua produzione così numerosa nonché la sua vastità d’interessi fanno sì che Egli non affronti i problemi o meglio, molti problemi, molte tematiche, con la stessa profondità o lo stesso zelo.

Ad esempio, Egli oscilla tra la condanna e l’accettazione della società ma, in effetti, Voltaire non vuole abbatterla ma si sforza di riformarla e correggerla da quegli errori che ritiene possibili  eliminare.

Questo forse è un limite di Voltaire rispetto a Diderot ed altri illuministi radicali. Il pensiero voltairiano si manifesta nella sua genuinità, più spesso nelle controversie che nelle esposizioni didattiche: da ciò che ne deriva un cartaceo frammentario e satirico che lo fa “sembrare” superficiale. Per una cinquantina d’anni Egli non ha mai cambiato le sue idee fondamentali e si può ben dire che se ha molto distrutto, d’altro canto ha indicato già elementi di una riforma sociale. Concorda il suo pensiero con quello di Locke nonché con la filosofia di Newton e dà alla vita culturale del suo Paese un grande contributo anche per l’evoluzione scientifica. Egli rifiuta l’innatismo in quanto come per l’empirismo inglese ritiene che tutte le idee derivino dai sensi. Che cos’è la metafisica? Noi non sappiamo niente di Dio né dell’origine del mondo e della vita stessa. Tali domande trascendono le nostre capacità intellettuali: il pretendere di risolvere tali questioni è voler superare i limiti della “natura umana” dell’uomo, della mente dell’uomo. Non bisognerà dimenticare che questo problema si ripresenterà a Kant. Allora è meglio guardare al mondo fisico come ha fatto Locke, e poi la “metafisica” rappresenta sul piano religioso il fanatismo e l’angoscia dinnanzi a problemi irrisolvibili.

Voltaire realmente non è ateo ma essere “deisti” significa, in breve rifiutare la religione rivelata e sfiorare l’ateismo  in pratica o agnostici.

Infatti Dio è uno strumento utile alla società: il timore di Dio è il miglior fondamento della morale, il Dio voltairiano-ricordiamolo- è “pour la canaille”. Assomiglia al timor dei lucreziano, relegandolo solo ad “architetto del mondo”. E’ ciò che viene definito deismo. L’esistenza di  un dio c’è garante tramite la ragione, dell’accordo tra gli uomini. Come si vede professa una religione naturale e strumentale completamente contraria alle religioni rivelate. Per tutta la vita Voltaire s’è occupato dello “spirito della religione” e “dello studio delle religioni positive o storiche”. Secondo lui “ le religioni positive” si basano su delle imposture e da ciò nasce la sua spietata critica. Per esempio: l’Antico Testamento ci rivela delle contraddizioni con il Nuovo.

E’ lo “spirito critico” che viene in tal modo applicato alla realtà. Egli si manifesta tramite la tendenza ad esaminare tutto con “il lume della ragione” per trarne delle conclusioni pratiche dal punto di vista morale e sociale. E’ la morale che importa a Voltaire: “la religione è stata istituita per mantenere gli uomini nell’ordine … attraverso la virtù” (Voltaire,  Dictionnaire Phylosophique). La Morale è quindi il tratto d’unione tra gli uomini. In assenza della Rivelazione, la “Raison” e la “Conscience” saranno le nostre vere e veritiere guide. Bisogna amarsi come fratelli ma il fanatismo cieco abbaglia gli uomini: solo la Filosofia favorisce la tolleranza. In che modo? Insistendo sulle incertezze delle nostre credenze e dei nostri pregiudizi, la Filosofia c’invita a tollerare quelle degli altri uomini così convinti di detenere, di tollerare, di possedere la Verité. Voltaire vuol sottolineare l’accordo sull’essenziale nelle dispute teologiche e l’assurdità delle persecuzioni vicendevoli. Il suo ideale terrestre è le bonheur terrestre.

Voltaire inizia a scrivere i suoi racconti che hanno e mantengono ancor oggi una loro forza grazie alla causticità e alla eleganza che li pervadono nonché alle riflessioni che sono tuttora valide. Egli non lascerà più questa forma letteraria sino alla morte. Noi prenderemo in esame Zadig del 1747 e la grande evoluzione che si avverte in Candido (1759).

Zadig (1747)

Il tema centrale del conte rivela i capricci del Destino e pone il problema della divina provvidenza. La lezione che se ne trae è scetticismo verso la Provvidenza, il ruolo importante del caso, la mediocrità dell’uomo, l’assurdità del fanatismo. I misfatti, le disgrazie dipendono, per Voltaire, dall’agire senza avere un preciso orientamento teorico, in breve senza pensare chiaramente ovvero senza preconcetti o pregiudizi di sorta. La realtà, l’esistenza come si direbbe oggi, è sofferenza ma l’uomo può cercare d’evitarla o di renderla meno atroce o pesante attraverso l’intelligenza e la cultura. Ogni volta Voltaire riesce ad interessarci grazie alle risorse del suo stile, della sua intelligenza, del suo “spirito”. Ad esempio, riesce a tenerci in “souspence” quando cambia il quadro finale che è ben lungi e ben diverso dalla logica del racconto fino ad allora seguito. La grande varietà è la caratteristica che ha il movimento della lingua parlata, il tono della conversazione. Il grande Francese ha alleggerito molto l’espressione con il suo stile inconfondibilmente degagé ,spigliato così il periodo classico è  rimpiazzato con periodi rapidi, correnti, i quali hanno influenzato molti altri autori francesi posteriori. Nel lungo racconto Zadig, vi si rintraccia anche la filosofia di Leibniz nonché quella di Wolff ma è il caso che comincia ad avere una funzione essenziale, preminente. Le idee regnano sovrane e ci appaiono dei puri diversivi e divertimenti. L’Autore ama “spiazzare”, scombussolare il lettore, spaesarlo, farlo riflettere tramite l’espediente d’un leggero esotismo e nel  frattempo ci conquista, ci avvince con delle avventure meravigliose. Bisogna ammettere che i personaggi non sono analizzati profondamente nella loro psicologia, sono piuttosto idee incarnate, tipi umani. Ma lo “charme” del racconto dipende interamente dalla “verve” dell’autore, dal suo “esprit”, dal suo “humor” sempre presenti, sempre pronti a stimolare, a provocare quasi, a pungolare la nostra riflessione grazie alle mille e mille sfumature della sua ironia, della sua stupenda arte, della sua “causticità” anche irriverente ma sempre elegante. Uno sguardo repentino, il suo acume, una “semplice” allusione bastano a Voltaire per invitarci a leggere tra le righe. S’è ben detto che leggere Voltaire “è una festa per l’intelligenza”, come un critico e studioso famoso ha sottolineato. Zadig o colui che dice la verità non è altro che Voltaire stesso. La satira delle teste incoronate incostanti e dei cortigiani (e cortigiane) perversi ed aridi sono una lezione amara quanto realista. Voltaire, almeno il Voltaire di Zadig, è il filosofo che medita sul destino ed è già ormai scettico verso la Provvidenza. Però non siamo ancora a Candide, in quanto tutto nel finale s’aggiusta poiché il protagonista ( diviene re, sposando Astarté. Come si è già detto, sarà Candide, il racconto più impegnato, un vero “chef- d’oeuvre” ove la riflessione filosofica e la sua maturità gli fanno cambiare la sua “filosofia della storia” ( Filosofia della Storia è proprio dizione forgiata dal “patriarca di Ferney”).

Candide

Nel Vocaboulaire technique et critique de la Philosophie, a cura di A. Lalande, giustamente si può leggere :«Il faut dire que Voltaire en voulant critiquer Leibniz, réalement dénonce la Thése de Pope: tout cela qui existe, c’est bien». Secondo Pope, il male è una parvenza ma, per esser chiari, bisogna aggiungere che la vera origine di Candide è da ricercarsi sulla “querelle” scoppiata tra Voltaire e Rousseau. Nel 1755 le relazioni tra Voltaire e il Ginevrino sono cortesi e il pedagogista gli invia il noto Discours sur l’inegalité. Voltaire lo ringrazia ironicamente (si veda la lettera del 30 agosto 1755), suscitando la collera del suo autore che replica a sua volta. (Cfr. Lettera del 10 settembre 1755).

Ma già i due diversi modi di pensare, di vedere, di carattere, si scatenano a proposito del Poema sul disastro di Lisbona (1756). Voltaire nutre seri dubbi sulla Provvidenza (Lettre sur la Providence). Il discorso verte sul piano politico. Così Rousseau «(…) Voi non trovate pertanto che male senza rimedio, medito con piacere nel mio isolamento e trovo che tutto è bene. Da dove nascono queste contraddizioni apparenti? (…) io spero, e la speranza addolcisce tutto». [lettera cit.].

L’opposizione è tra il ricco e il povero.

Ora Voltaire –per delicatezza -forse- non risponderà a Rousseau vista la sua malattia ma Candide, in breve, resta la replica contro Rousseau e la Provvidenza.

Qual è la genesi del male? la sua origine? Voltaire risponde con dei fatti. Ci sono numerosi mali: la guerra, il fanatismo, lo schiavismo, il male morale, i naufragi, il terremoto (si riferisce a quello disastroso di Lisbona).

E’ ragionando di metafisica che noi metteremo fine a codesti mali? Voltaire propone una soluzione pratica: il lavoro che è la sorgente del progresso materiale – e quindi soprattutto “morale”- renderà gli uomini più felici. Pangloss, dal greco “tutta lingua”, il filosofo che incontriamo in Candide, rappresenta la filosofia tradizionale, la metafisica, un certo fatalismo d’accettazione della realtà (tutto ciò che succede è bene).

La filosofia di Pangloss si dimostrerà disastrosa quando verrà applicata alla realtà. Giustamente s’è detto che Voltaire ha trasposto nel Candide la sua esperienza di vita e le sue idee filosofiche e politiche. E’ vero che Egli dice che bisogna “coltivare il nostro giardino, il nostro orto”, ma il giardino che Egli ci invita a coltivare è il mondo.

Candide porta alla perfezione l’arte del romanzo filosofico. Qui l’intenzione polemica s’avverte maggiormente che in Zadig o altri “contes” ma il roman rimane insuperato perché l’autore ci sa rincodurre, senza farci smarrire nelle disavventure del personaggio, in continuazione all’idea essenziale senza annoiare o peggio ancora, dare dimostrazioni teoriche. Le dimostrazioni delle tesi di Voltaire eppure ci sono, sono le stesse disavventure di Candide che si muove nella vita la quale non è astratta teoresi ma piena d’ostacoli, di malvagità. E’ così che Candide matura e si spoglia della disastrosa filosofia di Pangloss. Lo stile è impeccabile: l’animazione del recitativo, l’alternanza dei momenti di felicità e di tristezza, di cattiverie, la varietà delle “ dis-avventure”. Sembra che i personaggi ci vivano attorno e non recitino una parte, non sembra –per dirla in breve- scritta a tavolino.

L’Autore sa ben nascondere la monotonia della sua tesi fondamentale con la varietà e il riso che suscita la narrazione. Ci sono attorno a Candide molti personaggi principali quali Pangloss, Martin e Cacambo e via dicendo. Candide, il protagonista, è il più ricco psicologicamente: è timido, collerico, ingenuo ma la sua personalità viene poco a poco ad esprimersi. All’inizio è inconsistente ma poi finisce per acquisire volontà e senso pratico. In Candide, noi troviamo tutte le innumerevoli sfumature dell’ironia voltairiana quasi sconcertante, in quanto Voltaire parla alla nostra intelligenza a “mezze parole”, così la pungola, la stimola. Lo stile insuperabile di Candide può essere ben considerato quella “aristocrazia d’esprit” che Voltaire ha sempre cercato e vi è riuscito pienamente.

Diamo qui esempi dell’ironia di Voltaire tratti dalla lettera di Rousseau, dopo aver ricevuto il libro oggi famoso Dell’ineguaglianza tra gli uomini ,e discusso in quanto Rousseau rimane ancora legato, benché sia un illuminista, ad un’ottica nostalgica della società e dei modi di produzione che vanno scomparendo e mutando, sebbene non sia privo di ottimi spunti di riflessione ancora oggi vitali.

Rousseau traccia un quadro abbastanza tragico della società e Voltaire, rimarcandolo, «Mai s’è usato tanto ingegno per farci desiderare d’esser bestie» e proseguendo, «… Leggendo il Vostro libro, viene il desiderio di camminare a quattro zampe (…) ma poiché sono più di sessant’anni che ne ho perduto l’abitudine (…) m’è impossibile riconquistarla», e via dicendo, prosegue con satira unica. (Lettera citata). Ritornando a Candide, il dottor Pangloss “oracle de la maison” del barone di Thunder-Ten-Tronckh dava lezioni di “fisica sperimentale” “à la femme de chambre” “nascosto” dagli arbusti di un piccolo bosco tanto che si prenderà la sifilide in quanto la inserviente ne era infetta, ma risale il dottor Pangloss, (giustificazionista), a un capitano di cavalleria, ad una marchesa, ad un gesuita sino ad un membro d’equipaggio di Cristoforo Colombo.

Pangloss con la sua “erronea logica” giustifica anche la morte del suo benefattore che gli aveva salvato la vita«… provando che la rada di Lisbona era stata creata espressamente affinché questo anabattista [il benefattore che lo aveva curato e salvato (Nota mia) ]vi ci annegasse. Tanto che egli lo provò a priori …» (Candide).

Così con causa ed effetto, principio di ragion sufficiente, Pangloss viene a giustificare, in modo caricaturale, tutto, tantoché l’ingenuo Candide , interdetto dalle mille disavventure, si domanda fra sé «Se questo è il migliore dei mondi possibili, cosa sono dunque gli altri?»
(
Candide) [La traduzione dei brani è mia].

Enrico Marco Cipollini

 Dedica ad una cara Amica, senza di lei non ci sarei riuscito!

 

 Bibliografia essenziale

OPERE :

La Henriade, (1728), opera dedicata alla regina d’Inghilterra

Zaïre, (1732)

Lettre aux Anglais o Lettres Philosophiques, (1734)

 

Elements de la Philosophie de Newton, (1738)

 

Zadig, (1748)

 

Le siècle de Louix XIV, (1751)

 

Candide, (1759)

 

Traité sur la tolérance, (1763)

 

Dictionnaire Philosophique, (1764)

 

Oeuvres complètes, (I ed., 1775)

  

Delle oltre 20.000 lettere da ricordare per molti versi quella inviata a J.J.Rousseau del 30 agosto 1755 in risposta al libro del Ginevrino,Sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini

J. Van den Heuvel, Voltaire dans ses contes … (Paris, 1968)

G. Lanson, Voltaire, (Paris, 1906) rivista nel 1960 da R. Pomeau

P. G.Henr, Voltaire and Camus …, (Bambury, 1975)

R. Pomeau,Voltaire par lui-meme,(1955) et la religion de Voltaire, (1969)

In italiano: F. Diaz, Voltaire storico,(Torino,1958)

Classica resta l’opera di E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo (Firenze, 1944, più edizioni e ristampe)

M. Horkheimer-W. Adorno,Dialettica dell’illuminismo, (Torino, 1966)

C. Luporini, Voltaire e le “lettres philosophiques” (Firenze, 1955)

P. Alatri, Voltaire, Diderot e il “partito filosofico”, (Messina-Firenze, 1965)

                                                                 

8 risposte a "ATTUALITA’ DI VOLTAIRE: note sul suo pensiero e L’analisi di due racconti “contes” di ENRICO MARCO CIPOLLINI"

  1. Buongiorno, chiedo scusa alla redazione, ma il mio commento è monco di due citazioni di Voltaire senza le quali il seguito ha poco senso. Sicuramente una svista alla quale spero possiate rimediare. Grazie, buona giornata.

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  2. eppure . Queste due affermazioni di Voltaire sembrano contraddirsi. Ma Voltaire era, come ci ha spiegato il Prof.Cipollini, deista. Non nega dunque l’esistenza di Dio, ma la percepisce in modo piuttosto funzionale. Se dobbiamo cercare una causa al creato pare naturale pensare ad un creatore. Dunque Voltaire pone Dio come artefice e architetto dell’ordine universale. Il Dio metafisico, quello cui si “crede” senza domande è altro e a mio avviso correttamente, V. rifiuta quello che alla ragione sfugge ( non era un “Illuminista per caso” ).Forse dovevo vivere a fianco di Voltaire per l’idem sentire sulla religione o anche a fianco del preconizzatore cinquecentesco Francis Bacon che nel suo ” Novum Organum” identifica nella “pars destruens” l’insofferenza per il dubbio e nella religione una forma di superstizione. E come essere in disaccordo con questa interpretazione quando in nome di ” Dio” ( le virgolette sono volute ) e delle paure che Egli incuterebbe, si sono sottomessi popoli interi, di qualunque Dio si tratti ? Voltaire studiò dai Gesuiti ma fu critico e nonostante la riconosciuta cultura dei seguaci di Ignazio da Loyola, essi furono capaci di interpretare il peggio con, ad esempio, Torquemada e la Santa (Santa?) Inquisizione, vere e proprie persecuzioni nei confronti del libero pensiero, roghi e femminicidi (quousque tandem? Et quia dum?) in nome della repressione di presunte diversità. Ecco allora che il nodo tra religione e superstizione mai è stato sciolto. Ieri i gatti neri e il pensiero galileiano, oggi ogni forma di diritto civile costretto a valori che nemmeno Gesù, che io ricordi, ricacciava. Chè Lui non ricacciava nessuno. L’accoglienza e le Chiese interpretate come empatia e vera cum-passione e comprensione dell’eterodossia sono ancora mondi distanti. Monadi.

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  3. Io so perché già da ragazza Voltaire entro’ in me…è la Rivoluzione interiore…è l’Uomo nel Giardino…è la vita in movimento…è l’Occhio sul suo tempo e la riflessione acuta e pungente sull’assurdità e anche la crudeltà di certe pratiche e di quanti dogmatismi che rendono servili…è la Libertà dell’intelligenza..Grande Enrico…ho sorriso tanto rileggendoti e ricordando gli scambi tra filosofi …la filosofia è la Via personale e l’apertura sulla diversità…merci pour cet éloge à l’Esprit.Laura

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